I primi studi riguardo alla camera oscura risalgono al XI secolo, ad opera dello scienziato arabo Alhazen che, in largo anticipo sui suoi colleghi, studiò la teoria della visione e dei raggi luminosi. Queste teorie vennero in seguito riprese e sviluppate dal monaco polacco Vitellione nella sua opera latina Opticae Thesaurus Alhazeni Arabis. In campo astronomico, Guglielmo di Saint-Cloud usò una camera oscura per proiettare l’immagine del Sole su di uno schermo. Nel 1292, Guglielmo, nel testo Almanach Pplanetarum, oltre a trascrivere le sue teorie astronomiche, scrisse, nel prologo, del funzionamento del dispositivo da lui usato. Ancora nel Gennaio 1544, il fisico olandese Gèmma Rainer, meglio conosciuto come Frisius, si servì di una camera oscura per osservare una eclissi di sole.
Leonardo da Vinci teorizzò di applicare al foro stenopeico una lente; Gerolamo Cardano sviluppo il progetto, costruendo la camera oscura leonardiana. Tale dispositivo è usato principalmente nella pittura, allo scopo di riprodurre fedelmente paesaggi e panorami, anche se oramai tale camera oscura è caduta in disuso. Nell’opera Pratica della prospettiva del 1568, Daniele Barbaro impiegò la camera oscura con lente per lo studio della prospettiva; da quella data in poi, la camera oscura venne sempre più usata per opere con prospettive di difficile realizzazione. Lo stesso Canaletto sembra abbia più volte utilizzato la camera oscura per le sue opere più complesse.
Inoltre, a partire dalla sua ideazione, la camera oscura fu usata come lanterna magica all’interno di spettacoli per il popolo; la lanterna magica, per chi non la conoscesse, è una sorta di proiettore di diapositive rudimentale.
La camera oscura più semplice consta di una scatola chiusa a cui è praticato un piccolo foro, detto stenopeico. La luce che penetra nella scatola tramite il foro praticato, proietta un’immagine capovolta sul lato opposto, ben nitida e definita. Il vantaggio principale che deriva da una camera oscura così semplice è la mancanza di una lunghezza focale ben distinta: qualsiasi elemento presente all’esterno sarà sempre a fuoco, indipendentemente dalla distanza di quest’ultimo dalla camera oscura. Tuttavia, date le ridotte dimensioni di un foro stenopeico, una camera oscura di questo genere potrà fotografare solo ed esclusivamente soggetti fissi.
Nelle odierne macchine fotografiche, la camera oscura è sostituita da un obiettivo in grado di modificare la sua apertura e, di conseguenza la messa a fuoco; l’immagine generata è proiettata su di una pellicola fotosensibile o, nel caso di un dispositivo digitale, su di un sensore elettronico. Oltre al dispositivo sopracitato, con questo termine viene indicato anche il locale dove avviene il processo di sviluppo delle immagini fotografiche; la stanza deve essere immersa nella completa oscurità oppure essere illuminata da una lampadina di sicurezza a luce inattinica al fine di non danneggiare il materiale fotosensibile; nel caso di materiale pancromatico, sensibile a qualsiasi tipo di luce, anche inattinica, lo sviluppo del materiale fotografico deve essere effettuato nel più rigoroso buio.
La camera oscura è attrezzata, generalmente, con delle bacinelle per lo sviluppo delle stampe in bianconero, pressino per stampe a contatto, antica tecnica di stampa, un paio di pinze per evitare ogni contatto con il liquido di sviluppo, un tank, in plastica o metallo, dove avviene lo sviluppo delle pellicole e un tamburo fotografico, per la produzione di stampe a colore. All’interno di una camera oscura professionale non possono mancare una vasta dotazione di carta fotografica e di prodotti chimici di sviluppo.